Alimentazione animale e impatto ambientale


di Maria Albolino

La sostenibilità ambientale, intesa come integrità funzionale di tutte le attività di allevamento, svolge da tempo un ruolo fondamentale nella zootecnia perché ci consente, rispettando il benessere animale, di ottenere prodotti sani e di elevata qualità nutrizionale. Al giorno d’oggi l’attenzione indirizzata a questa tematica si è accresciuta per i risvolti e le ricadute ambientali che le pratiche zootecniche comportano, soprattutto in conseguenza alla crescente domanda a livello mondiale dei prodotti di origine animale. A testimonianza di ciò diversi sono i provvedimenti attuati dalle grandi potenze ( es. il Protocollo di Kyoto del 2005, trattato internazionale volto alla mitigazione dei principali gas serra), le conferenze internazionali aventi come tematica principale proprio l’impatto ambientale (es. la prima conferenza internazionale “Animal Nutrition and Environment” tenutasi nel 2012 in Thailandia) nonché il rapporto della FAO “Livestock’s Long Shadow” (2006).
La zootecnia contribuisce a modificare la composizione dei gas in atmosfera attraverso una vasta gamma di emissioni gassose tra cui metano (CH4 ) anidride carbonica (CO2) e protossido di azoto (NO2); in particolare secondo la FAO le produzioni animali contribuiscono per il 18% alle emissioni globali di gas serra: di cui il 9% sono dovute alla CO2 , il 35-40% alla CH4 e il 65% all’NO2.
Le emissioni di metano imputabili alla zootecnia (attraverso le fermentazioni ruminali ed intestinali degli animali e quelle a carico di letame e liquame) rappresentano la seconda fonte di metano a livello globale, dopo le fermentazioni che avvengono nelle risaie. L’80% di queste emissioni sarebbero legate ad allevamenti di tipo estensivo dove l’alimentazione del bestiame è rappresentata principalmente da foraggio che determina, a livello ruminale, fermentazioni di tipo acetico e dunque una maggiore produzione di gas serra. In generale, per unità di prodotto utile (1 kg di latte, carne o lana) la produzione di gas serra diminuisce al crescere del livello produttivo, sia perché i gas escreti sono diluiti in una maggiore quantità di prodotto, sia perché gli animali molto produttivi usano razioni con meno foraggi e, quindi meno fibra. Tale problema è in parte risolvibile impiegando nella razione dei ruminanti foraggi di elevata qualità (alta digeribilità) o alcune essenze foraggere (es. Onobrychis viciifolia L., conosciuta come Lupinella) che per la presenza di tannini, che interferiscono con le fermentazioni ruminali, riducono la produzione di metano. Per la questione dell’anidride carbonica, il contributo della zootecnia alla sua emissione è solo marginale in quanto la maggior parte della CO2 riversata annualmente in atmosfera proviene dall’utilizzo di combustibili fossili. Nei paesi in via di sviluppo, invece, caratterizzati da una zootecnia di tipo estensivo, la principale
fonte di CO2 è spesso rappresentata dalla deforestazione effettuata con lo scopo di trasformare aree arbustive o arborate in pascoli o arativi per la produzione di alimenti per il bestiame. Altra problematica, che, negli ultimi anni, ha ricevuto grande attenzione è l’inquinamento da azoto nell’acqua, nell’aria e nel suolo. Responsabile di tale forma di inquinamento è principalmente il protossido di azoto. Anche in questo caso la gran parte delle emissioni deriverebbero da sistemi zootecnici di tipo estensivo. La sua produzione è legata alla conservazione, manipolazione e distribuzione dei reflui zootecnici. Nei ruminanti, la questione dell’azoto assume un’importanza particolare perché essi possono utilizzare, grazie alla microflora ruminale, sia azoto proteico che non proteico per la sintesi di proteine attraverso l’energia derivante dalla fermentazione dei carboidrati. Per ridurre l’escrezione azotata nell’ambiente, è importante, dunque, mantenere nella razione il giusto equilibrio energia-proteine. Riguardo l’azoto c’è anche da considerare l’impatto ambientale dovuto all’uso eccessivo di fertilizzanti, che può essere ridotto impiegando in alimentazione animale Leguminose locali, da foraggio e da granella (es. favino, lupino, pisello proteico), in alternativa alla soia importata. Tale pratica risulta possibile senza risentimenti negativi sulla qualità delle produzioni zootecniche (latte e carne). Vi è, inoltre da affrontare, il problema dell’acqua, soprattutto per quel che riguarda l’aspetto quantitativo. Il consumo di acqua necessario per venire incontro alle esigenze degli allevamenti è stato stimato intorno ai 16.2 km3 e gran parte di essa sarebbe impiegata per soddisfare i fabbisogni idrici delle coltivazioni. Se consideriamo il mais (Zea Mais L.), una delle colture più diffuse, parliamo di un fabbisogno idrico stagionale pari a 5000-6000 m3/ ha senza i quali la crescita della pianta si arresterebbe irreparabilmente.
Da qui la necessità, da parte di ricercatori del settore, di trovare fonti foraggere alternative al mais che richiedano volumi d’acqua minori ed abbiano un valore nutritivo sovrapponibile. Una delle possibili soluzioni è rappresentata dal sorgo (Sorghum Vugare L.) che, grazie al suo apparato radicale espanso, è in grado di estrarre l’acqua dal terreno anche quando è fortemente trattenuta ed, in caso di stress idrico, può entrare in stasi vegetativa e riprendere i processi vitali al ripristino delle condizioni idriche ottimali. Il sorgo inoltre, in prove sperimentali condotte su bufale in lattazione, ha dimostrato non influenzare negativamente la produzione quali-quantitativa di latte. Un’altra possibile soluzione per ridurre l’impatto ambientale dovuto alla grande richiesta di nutrienti necessari per soddisfare i fabbisogni nutritivi degli animali consiste nell’impiego di sottoprodotti residui dalle lavorazioni agricole ed industriali come alimenti per il bestiame (es. paglia, fettucce di barbabietola, cassava). Questo sistema, già ampiamente utilizzato nei paesi con scarse risorse
alimentari, garantisce un risparmio economico legato allo smaltimento di tali residui nonché un maggiore sfruttamento dei nutrienti ancora presenti nel sottoprodotto.
Allo scopo di valutare l’impatto ecologico delle produzioni zootecniche è stato introdotto il sistema LCA (life cycle assessment), proposto dalla FAO, che stima l’ecological footprint e quindi l’impatto ambientale e le risorse non rinnovabili impiegate per la realizzazione di un prodotto, un processo o un servizio. Il sistema LCA può essere impiegato per mettere in risalto l’attenzione con cui viene prodotto un determinato bene e soprattutto, può costituire un importante strumento di programmazione sia aziendale che politica. In conclusione, la ricerca attualmente in corso nell’ambito di tale tematica sta dimostrando che una sostenibilità ambientale nella zootecnia non disgiunta dalla redditività e dalla qualità nutrizionale delle produzioni è possibile.